Bianca Brotto
Diffondiamo Bellezza
QUEL LUOGO DOVE CERTI CORVI E CERTE PAROLE NON POSSONO RAGGIUNGERCI
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Lo so che non è facile accettare quel che ci accade soprattutto quando la vita è spietata e noi, travolti da tifoni fisici o emozionali, ci ritroviamo annientati. Paralizzati.
Spesso ci corazziamo appesantendo il nostro corpo di chili e cose da fare, o finendo per far pagare la nostra rabbia a chi non c’entra, ma ci è vicino.
Eppure ci siamo rinchiusi da soli fra le sbarre interiori del mal vivere ma, se ci accorgiamo del nostro stato di prigionia, da soli possiamo anche uscirne.
Nietzsche, con il suo «amor fati» (amore per il proprio destino), parla dell’importanza di accettare, finanche con gioia, quanto ci accade come se l’avessimo scelto, non quindi in forza della rassegnazione, ma della libertà di far splendere l’Oltreuomo (Übermensch), un individuo che ama eternamente la vita così com’è nel suo continuo ripetersi.
Secondo il filosofo tedesco, infatti, l’uomo che abbraccia l’amor fati attiva la propria potenza creativa trasmutando le crisi in opportunità e lo può fare perché è libero di fidarsi e, qualsiasi cosa accada, di dire: «Questo è ciò che mi serve».
Da dove partire?
Dal portare amore nei momenti difficili perché è solo l’amore che può attivare quella forza interiore che è già in noi e che mai conosceremo finché voliamo basso lamentandoci, accusando gli altri, arrabbiandoci,
ma che si sprigionerà allorché, in volo sulle ali dell’amore, osserveremo la nostra storia da una prospettiva alta. E altra.
Da lassù vedremo i macigni superati come amorevoli mani che ci hanno modellati facendo emergere la meraviglia che, oggi, siamo.
L’aquila ci mostra i frutti del volare alto. Le sue scocciature esistenziali sono i corvi. I corvi, suoi e nostri, non hanno il coraggio di affrontarci frontalmente perché, subdoli, agiscono alle nostre spalle.
Nel caso dell’aquila, il corvo si appoggia sulla sua schiena e inizia a beccarla con petulante insistenza.
Lei non fa nulla per combattere chi non è al suo livello ma, in forza della libertà che la abita, sceglie di alzarsi in volo e, maestosa, sale fino a raggiungere altitudini dove l’aria rarefatta rende difficile al corvo respirare.
Lassù, in quel punto di forza o di destino, il molestatore si indebolisce e precipita, non perché l’aquila lo abbia affrontato, ma perché lei ha scelto di elevarsi al di sopra del gracchiante marasma esistenziale.
L’aquila non sconfigge il corvo, è la sua altezza a farlo come a dire: quando attiviamo la nostra levatura interiore, quel che non ci riguarda più cade da sé.
Riusciamo a vederla l’aquila che è in noi?
Se non ce la facciamo, spicchiamo metaforicamente il volo allontanandoci dai giudizi (anche quelli su di noi), dai rancori, dalle pene perché è solo nelle altezze delle nostre profondità che certi corvi e certe parole non possono più raggiungerci, e tantomeno ferirci, in quanto mancherà loro ossigeno, quell’ossigeno che, finché voliamo e vibriamo su basse frequenze, continuerà ad alimentarli, con il nostro permesso.
Togliamo l’ossigeno al fuoco e il fuoco si spegnerà.
Accorgiamoci che siamo noi a permettere agli altri di ferirci e saremo liberi.
Liberi di amare il nostro destino.
Consapevoli di respirare l’aria rarefatta della sublime libertà.
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