Quanti siamo ad avere talvolta la sensazione di trovarci in mare a bordo di una scialuppa senza vele in balia di fame e vento, ma a continuare a stare lì dove siamo senza riuscire a cambiare alcunché?
Eppure, nel nostro peregrinare, capita di imbatterci in barche invelate condotte da capitani integri che veleggiano sereni; incontrarli è una carezza che resta dentro ma spesso, invece che fermarci su quel tocco di pace, proseguiamo nel nostro affamato e confuso vagare.
Poi sorge l’alba di questa Epifania, festa della manifestazione in mezzo a noi del Dio vivente o, se preferiamo, del senso della vita, quello che ognuno di noi, che ne sia consapevole o meno, cerca seguendo le correnti della ragione, delle filosofie, delle religioni oppure correndo da un impegno all’altro, da un luogo all’altro, da una relazione all’altra, dalla finzione mediatica di un “grande fratello” a quella di un “grande cuoco”, “grande sportivo”, “grande influencer”.
Pur di anestetizzare la fame di senso esistenziale, c’è chi si spinge finanche nelle devianze che, un attimo dopo la fugace illusione di benessere, aprono Fosse delle Marianne nelle quali le vittime precipitano conce e affamate più di prima.
D’altronde ci nasciamo con il bisogno di cibo vitale perché, in quanto animali (dal latino ‘animalis’, che dà vita, animato), non sintetizziamo il nostro nutrimento partendo da sostanze inorganiche come fanno le piante, ma solo da composti organici precedentemente elaborati da altri organismi.
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