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Il blog felice
Der Blog vom Glück
The happy blog

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PAROLE BELLE

Lo so che non è facile accettare quel che ci accade soprattutto quando la vita è spietata e noi, travolti da tifoni fisici o emozionali, ci ritroviamo annientati. Paralizzati.

Spesso ci corazziamo appesantendo il nostro corpo di chili e cose da fare, o finendo per far pagare la nostra rabbia a chi non c’entra, ma ci è vicino.

Eppure ci siamo rinchiusi da soli fra le sbarre interiori del mal vivere ma, se ci accorgiamo del nostro stato di prigionia, da soli possiamo anche uscirne.

Nietzsche, con il suo «amor fati» (amore per il proprio destino), parla dell’importanza di accettare, finanche con gioia, quanto ci accade come se l’avessimo scelto, non quindi in forza della rassegnazione, ma della libertà di far splendere l’Oltreuomo (Übermensch), un individuo che ama eternamente la vita così com’è nel suo continuo ripetersi.

Secondo il filosofo tedesco, infatti, l’uomo che abbraccia l’amor fati attiva la propria potenza creativa trasmutando le crisi in opportunità e lo può fare perché è libero di fidarsi e, qualsiasi cosa accada, di dire: «Questo è ciò che mi serve».

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Alla festa della scuola intervenne il padre di un ragazzo con disabilità fisiche e mentali. Iniziò interrogandosi sull’ordine e sull’armonia che si manifestano in natura quando nessuno ne disturba l’equilibrio e, traslando poi sul figlio, si chiese: «Herbert non impara come gli altri. Non capisce come loro. Dove si trova l’ordine naturale delle cose nel suo caso?». Il silenzio calò sulla platea.

L’uomo proseguì: «Quando nasce un bambino come Herbert, il mondo riceve una rara opportunità: quella di mostrare la vera essenza dell’animo umano che si rivela nel modo in cui gli altri accolgono e trattano la diversità».

L’uomo continua raccontando sul web un episodio indimenticabile: «Era estate. Stavo passeggiando con Herbert vicino a un campo dove alcuni ragazzi giocavano a calcio. Herbert mi chiese: secondo te mi farebbero giocare con loro?».

Fu un attimo. Nel padre si accese una speranza talmente coraggiosa da farlo dirigere subito verso uno dei giocatori per porre la domanda. «Il ragazzo guardò gli amici, esitò, poi disse: stiamo perdendo tre a zero, mancano dieci minuti alla fine. Va bene, può unirsi a noi. Gli faremo tirare un rigore».

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La sera stava già scollinando nella notte quando Roberto Vecchioni ricevette la telefonata di un caro amico che gli chiedeva come stesse.

«Mi sento molto solo» rispose Roberto.

«Vuoi che venga lì?» chiese l’amico.

«Sì».

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«Il girone dell’inferno si innescava ogni volta che Flavia tornava a casa con i quaderni pieni di segni rossi. Le ripetevamo di concentrarsi, ma i voti peggioravano, gli insegnanti si lamentavano, noi la aiutavamo con i compiti ma Flavia, le nostre spiegazioni, non le capiva. Non ti dico che nervi, per non parlare dello scoramento.

Ci sentivamo tutti sbagliati» racconta Nicola Monti che, per aiutare chi, come lui, patisce non solo i problemi scolastici, ma anche le discriminazioni e l’impreparazione che circondano la vita di un ragazzo con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA),

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«Le mogli dei colleghi di Paolo si pavoneggiavano: l’altro giorno mio marito mi ha regalato rose bellissime. Oppure: mio marito mi ha regalato una collana splendida. Guardate!

Io, invece, non potevo esibire niente e neanche aspettarmi un gesto galante da Paolo. Almeno non nel senso inteso generalmente.

Alle feste guardavamo gli altri ballare. Lui rideva come un matto, io protestavo - racconta Agnese - Allora mi faceva finire di parlare poi mi chiedeva: Agnese, ma tu perché stai con me?

Io non ti do niente di tutto questo. Non sono il tipo di marito che torna a casa sempre allo stesso orario, si mette le pantofole, si siede davanti al telegiornale e poi nel pomeriggio porta la moglie in giro per una passeggiata. 

Faceva una pausa e mi diceva ancora: lo sai perché stai con me?

Perché io ti racconto la lieta novella. La prima volta che me lo disse rimasi spiazzata.

Mi misi a piangere. Erano lacrime di felicità». 

Paolo sussurrava ad Agnese che la lieta novella avrebbe tenuto vivo il loro amore, «perché l’amore ha bisogno di mantenersi fresco con una novità ogni giorno che non è il fiore o un regalo qualsiasi.

Perché tutto passa. Io ogni giorno mi devo rinnamorare di te. E tu di me. Inventandoci qualcosa di diverso».

Nonostante le difficoltà che Agnese e Paolo Borsellino dovettero affrontare per la scelta che lui aveva fatto, «la lieta novella che mi raccontava ogni giorno era già tutto per me. E anche le giornate pesanti diventavano allegre con le sue parole»

racconta Agnese che, mentre combatteva contro una grave malattia, decise undici anni fa di raccontare la sua quotidianità con il magistrato vittima di Cosa

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