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Osate vivere - A. Desjardins
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- Categoria: Parole belle
- Creato: Lunedì, 29 Settembre 2014 16:35
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Un giorno a una domanda sulla morte mi si è presentata spontaneamente questa risposta: "Tu non hai paura della morte, hai paura della vita".
Ho riflettuto e mi è apparso con certezza quanto quella risposta fosse vera: la paura della morte è tanto più grande quanto più non si è osato vivere.
Se davvero non avrete più paura della vita, non potrete più avere paura della morte perché avrete scoperto in voi stessi cos'è veramente la Vita, non la vostra vita ma la Vita unica e universale che ci anima, e quindi vi apparirà evidente che quella vita è indipendente dalla nascita e dalla morte.
Sapete che gli occidentali comunemente contrappongono la vita alla morte, mentre per gli orientali l'opposto della morte è la nascita, dal momento che la vita si esprime in un movimento perpetuo di cambiamenti, in un gioco ininterrotto di nascite e di morti.
Questa convinzione è comune a molte forme di spiritualità e il mio guru, Swami Prajnanpad, faceva degli esempi semplici: la nascita del bambino è la morte del neonato, la nascita dell'adolescente è la morte del bambino.
Osare vivere è osare morire a ogni istante, ma è egualmente osare nascere, vale a dire superare le grandi tappe dell'esistenza in cui ciò che siamo stati muore per fare spazio ad altro, con una visione rinnovata del mondo, pur ammettendo che ci siano diversi stadi da superare prima dell'ultima tappa del Risveglio.
Ciò significa essere sempre più consapevoli che a ogni istante si nasce, si muore, si rinasce.
Ma osare vivere significa anche semplicemente non avere più la paura di ciò che portiamo in noi stessi. E sono sicuro che molti di voi sono d'accordo con me, soprattutto quelli che hanno cominciato a scoprire il loro inconscio. Avete paura di quello che portate in voi perché sapete che non potete contare completamente su voi stessi, che potreste mettervi in situazioni per le quali poi vi mordereste le mani. Ma avete paura di quello che portate in voi stessi anche perché da bambini vi è capitato di essere brutalmente contrastati nelle vostre espressioni, e ciò che era una forma della vostra gioia di vivere e del vostro entusiasmo ha attirato su di voi una catastrofe: vi hanno coperto di rimproveri mentre ciò che stavate facendo vi rendeva felici.
E noi non capivamo, forse l'abbiamo rivissuto in terapia, come e perché i nostri genitori fossero così arrabbiati mentre a noi sembrava così divertente tagliare con un gran paio di forbici le più belle tende della casa o, come ho fatto io, mettere nella vasca piena tutte le scarpe di mia sorella, mio fratello, mio padre e mia madre per farle galleggiare come barchette. I miei genitori non avevano molti soldi all'epoca, né molte scarpe nell'armadio, ma per me erano sufficienti per provare a farle galleggiare. È un ricordo insignificante e innocuo, tuttavia ho rivissuto con intensità tragica la disperazione di mia madre, la severità di mio padre e la mia felicità infranta. Perché ciò che a me sembrava così meravigliosamente divertente aveva provocato un tale turbamento in mia madre quando aveva visto che le scarpe si erano rovinate?
Spesso quelli che agli occhi dei nostri genitori sono piccoli incidenti agli occhi dei bambini che siamo stati sono eventi terribili. La paura di ciò di cui siamo capaci si insinua dentro di noi molto rapidamente e di qui, se i genitori non sono particolarmente capaci, cominciamo noi stessi a soffocare la nostra forza vitale, il nostro 'slancio vitale'. Cominciamo a reprimere la nostra pulsione vitale.
E poi lo sapete bene (la psicologia ce lo insegna e forse l'avete potuto verificare personalmente) che la scoperta della sessualità si fa spesso nel malessere, nell'incomprensione, nel senso di colpa per la masturbazione infantile, e che gli impulsi che si risvegliano nell'adolescenza, se non trovano lo spazio per espandersi completamente come vorremmo, ci turbano e ci disorientano. E in questa forza vitale, nella libido, c'è una potenza molto grande che voi non riconoscete completamente. A tal punto che, oggi che la libertà di costumi è molto più grande, oggi che i mezzi per esprimersi sono immensi e i viaggi facilitati, la maggior parte di voi non osa più vivere pienamente. Ed è quando non lasciate più spazio allo slancio vitale dentro di voi che cominciate ad aver paura della morte. Ciò che è veramente importante è che vi liberiate della paura di vivere.
Questa paura di vivere comporta due aspetti: da una parte la paura di tutto ciò che portiamo in noi stessi, dall'altra la paura delle situazioni concrete con le conseguenze a cui possono dare origine.
La paura di vivere diviene ben presto paura di soffrire: meglio vivere meno per soffrire meno. Osservate, guardate, domandatevi se questo vi riguarda o no. Questa verità mi si è imposta nei nostri colloqui privati e nelle nostre riunioni comuni. Avete paura di vivere perché vivere significa assumersi il rischio di soffrire. Questa paura ha le sue radici nelle vostre esperienze passate perché più avete vissuto più siete stati infelici. Non soltanto perché avete vissuto l'entusiasmo di mettere delle scarpe in una vasca, ma perché quando vi siete innamorati all'età di diciotto anni avete sofferto tanto. E molto spesso nasce questa decisione, a volte inconscia, a volte molto cosciente: "Non voglio più soffrire così". È una bella decisione, ma ne consegue un'altra decisione che, quella sì, è completamente falsa: "di conseguenza, non amerò più", o "di conseguenza, non mi metterò più in situazioni pericolose". Bisogna avere chiaro che, per chi è impegnato nel cammino della saggezza e vuole a poco a poco penetrare il mistero della sofferenza, è indispensabile assumersi il rischio di vivere e di soffrire.
D'altra parte, se da bambini la nostra vitalità e forse anche la nostra esuberanza sono state spesso associate ai rimproveri: "non devi", "come hai osato!", e dunque accompagnate da un giudizio di valore, questa ricchezza di vita è stata abbondantemente condannata anche dagli insegnamenti spirituali che esaltano l'ascetismo, l'austerità, la rinuncia, il ritiro in un monastero o in una grotta d'eremita, e, per finire, 'la morte a se stessi' o la 'morte dell'io'. Io stesso sono rimasto sorpreso quando un uomo così austero come Swami Prajnanpad insisteva sul valore dell'audacia di vivere, di esporsi e di non sottrarsi ai colpi della vita. Questo atteggiamento mi sembrava in contraddizione con la spiritualità induista come io la intendevo. E lì c'è un rischio reale che io ho sfiorato più volte: quello di camuffare sotto discorsi nobili ma menzogneri quella paura di vivere che, beninteso, esisteva in me (io non condivido mai una verità che non ho vissuto e che non mi abbia reso un po' più libero, altrimenti non mi riterrei competente o qualificato per parlarne). Quindi, vi dibattete in un senso di soffocamento per il desiderio di condurre una vita vasta, una grande vita, una vita ricca di esperienze. Il rischio è che questa paura di vivere sia illusoriamente giustificata da un ideale spirituale.
Secondo la terminologia induista, chi è rajasico, attivo, vive intensamente, mentre si deve divenire salvici, calmi, sereni, raccolti in se stessi. Così tanto e così bene che mi si era imposta l'immagine del saggio in meditazione, gli occhi chiusi e il sorriso di Buddha, a scapito dell'immagine dell'uomo che osa partecipare completamente all'esistenza e accettare tutte le forze e tutte le pulsioni che sono in lui prima di divenirne poco a poco padrone. Sì, rischiamo realmente di ingannare noi stessi. Non accuso e non condanno nessuno dal momento che anch'io sono parte in causa. Io stesso ho corso abbondantemente quel rischio, non soltanto voi, ragazzi e ragazze, uomini e donne che pure lo correte. E ci tengo a dire che parlo unicamente in nome della saggezza e in vista della più alta forma di spiritualità. Cerchiamo di essere innanzi tutto perfettamente naturali prima di aspirare al soprannaturale. "Colui che tradisce la terra non raggiungerà mai il cielo", questo famoso motto è eloquente.
Tratto dall’opera di A. Desjardins, “L' audacia di vivere” (1989)
FONTE: http://www.mauroscardovelli.com