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Il blog felice
Der Blog vom Glück
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VIVERE CON PASSIONE

È il suo grazie che mi rimbomba dentro, insieme alle sue lacrime. A volte vanno a braccetto, gratitudine e dolore, come se l’una sgorgasse dall’altra e soffrire fosse la via obbligata per ritrovare se stessi.

Preferisco credere che così non sia anche se spesso accade che, sfiorando l’abisso, l’essenza di chi siamo emerga innescando un luminoso turbo che realizziamo di avere solo in quel frangente.

Giovanni Allevi ha esordito con “All’improvviso mi è crollato tutto” sul palco dell’Ariston di San Remo, ma io non l’avevo visto. Su suggerimento di un’amica ho recuperato l’intervento sul web: un’ondata di emozione e pura bellezza.

“Ho perso il mio lavoro, i miei capelli, le mie certezze, ma non la mia speranza e la voglia di immaginare”. Immaginare, in me mago agere, eccolo il primo turbo che si è attivato e che nel suo brano Tomorrow (domani), “suonato con tutta l’anima”, ha reso melodia.

Ascolto a occhi chiusi le dita di Giovanni danzare sulla tastiera del pianoforte, è come se cantassero una canzone: alla prima strofa mi vedo correre in un prato cesellato di fiori, farfalle e risate argentine, alla seconda cala sottile una nota di malinconia ma poi la tonalità cambia, sta per succedere qualcosa…

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Inviato da il in VIVERE CON PASSIONE

 

«Sono nei pressi di Logroño, in Spagna, quando vedo un tipo sotto il diluvio che cammina verso il nulla. Mi chiedo chi sia, mi dicono “un pellegrino".

È il 2000, ho 27 anni, non conosco il Cammino di Santiago - racconta Luigi Gatti - e trovo assurdo che qualcuno si faccia 800 km sotto l’acqua e sotto il sole buttando via un mese di vacanza.

Quando l’uomo mi passa accanto, tuttavia, i suoi occhi mi colpiscono: è felice. Io che sono con i miei amici a sbaraccare forse non lo sono così tanto. Perché?».

Sette anni dopo Luigi parte con il suo zaino carico di domande e «nello stesso tratto del cammino in cui avevo visto il pellegrino incontro una ragazza giapponese: Aki.

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È un ribelle e in collegio non ci vuole stare, Leoncillo, quindi scappa attraversando di notte i boschi infestati di lupi della sua Umbria, ma a casa ci arriva, incolume, e ci resta giusto il tempo di venire scoperto.

Non gli piace stare in quell’istituto e gli studi tecnici non gli interessano; per il quattordicenne l’unica via di fuga dall’inquietudine è comportarsi in modo inaccettabile.

Il risultato è la bocciatura, ma a casa non la prendono bene. Orfano di padre dall’età di tre anni, la madre lo chiude a chiave in uno sgabuzzino per tutta l’estate affinché studi e rifletta sulle conseguenze della sua condotta. 

Corre l’anno 1930, la stanzetta è angusta, c’è solo una finestrella che dà sul cortine ed è forse proprio lì che, per distrarlo, il fratello gli lascia un secchiello con della creta.

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Inviato da il in VIVERE CON PASSIONE

È il cappellino rosa a forma di barchetta ingentilita che balza all’occhio avvicinandosi al primo tavolo del ristorante a bordo lago. I commensali, distribuiti attorno alla circonferenza immacolata della tovaglia di lino, stanno attingendo a generosi vassoi di antipasti.

Ada si sporge all’indietro e, appoggiandosi alle spalle del marito, chiama sua cugina Giulia che è seduta un posto oltre lei. «Finalmente ci vediamo - esclama - ciao». Giulia ricambia il saluto. «Ti trovo proprio bene - frizza Ada - sei ingrassata».

«Tante grazie!» ribatte scocciata Giulia che, senza troppo dare nell’occhio, si alza e raggiunge il tavolo a fianco dove zia Carla sta borbottando a zia Bruna di quel cappellino rosa che proprio non si può vedere, «tipico gusto americano e poi ha sbagliato il colore del rossetto che tira all’arancione; le americane non sanno cosa sia il buon gusto e pretendono di insegnarlo a noialtre».

Giulia ha sentito abbastanza e, sfiorando le velette delle zie, si sposta all’altro tavolo dove il cugino di Roma sta parlando del parente seduto vicino al banco bar che «quarant’anni fa ha venduto i titoli per comprare casa alla badante fregandosene dei figli». Giulia procede oltre dirigendosi verso i nonni. 

Nonna Gilda ha appena fatto scorta nel piatto di gamberetti e, dopo averne messo in bocca uno e aver esclamato quanto disgustoso sia, li sta offrendo alla consuocera che risponde: «Grazie tante, tieniteli pure».

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C’è un episodio della vita di Enrico, che ancora torna a trovarmi ogni volta che mi imbatto nei confini mentali che ci autocostruiamo; sarà per via di questi orizzonti talvolta limitati, mi chiedo, che non entriamo, come Enrico, in un’agenzia immobiliare per dichiarare che ci occorre una casa grande, preferibilmente isolata e con molto verde, bella o brutta non importa, ma soprattutto che non costi niente? 

Andò proprio così e, quel giorno, la reazione dell’agente alla richiesta del mio amico fu immediata: «Come, che non costi niente?»

«Certo! Ho venduto una fattoria in Germania e me la pagheranno a rate negli anni quindi non ho soldi, ma la casa mi serve subito» rispose Enrico. 

L’immobiliarista non vedeva soluzione, ma Enrico lo aiutò: «Non è così difficile, calcola che per me va bene anche una stazione ferroviaria abbandonata, o una vecchia scuola, un ufficio postale, un convento…».

Alla parola ‘convento’ il tipo si infervorò: «Ce n’è uno a venti chilometri da qui, ci abita solo un padre guardiano, ma lo stabile non è in buono stato» disse.

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