Bianca Brotto

Diffondiamo Bellezza

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biancabrotto

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Amo la vita, sempre, anche quando non la capisco, anche quando soffro, ancor di più quando esplodo di gioia; trovo sia un’avventura straordinaria che si rinnova ogni giorno, al sorgere del sole.


Suono di rado, ma con amore, il pianoforte e canto mentre guido. Non ho tempo per le frequentazioni sterili, ma non guardo l’orologio quando un amico ha bisogno di me; l’amicizia è un dono meraviglioso e mi ha salvato la vita.

Mi piace leggere, lasciarmi rapire dai notturni di Chopin e riempirmi con un bel film.


Adoro il fuoco, la fiamma viva, il calore che mi trasmette. Amo viaggiare e vivere le emozioni della natura, dell’arte e degli incontri inattesi. Quando posso fuggo all’isola d’Elba dove, nell’incedere lento e potente del mare, mi rigenero.



Non mi annoio mai, trovo che il semplice esistere nel presente sia entusiasmante.

«Avevo 4 anni quando mia madre entrò in ospedale. Ero preoccupato: per la prima volta sarebbe mancata da casa 14 giorni. L’intervento andò bene, ma lei si addormentò. Quel sonno, mi dissero, si chiamava coma.

Due anni dopo fu papà a darmi la notizia: “La mamma si è svegliata, corriamo da lei". Partimmo trepidanti ignari che il suo cervello avesse cancellato, oltre a noi, 10 anni di vita.

Mamma ci mise 2 inverni per tornare a una sorta di normalità e papà altri 2 per ammalarsi e morire». 

Ha 10 anni, Marco, la nuova sofferenza è un macigno immenso e in terza media, per sopportarlo, inizia a tagliarsi. L’ha visto fare ad alcuni ragazzi e gli hanno spiegato che quando ci si fa male tutto il resto sparisce: dolore scaccia dolore.

Ci prova. Funziona. Inizia a incidersi le braccia più volte al giorno, ne ha bisogno per sopravvivere. 

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È un ribelle e in collegio non ci vuole stare, Leoncillo, quindi scappa attraversando di notte i boschi infestati di lupi della sua Umbria, ma a casa ci arriva, incolume, e ci resta giusto il tempo di venire scoperto.

Non gli piace stare in quell’istituto e gli studi tecnici non gli interessano; per il quattordicenne l’unica via di fuga dall’inquietudine è comportarsi in modo inaccettabile.

Il risultato è la bocciatura, ma a casa non la prendono bene. Orfano di padre dall’età di tre anni, la madre lo chiude a chiave in uno sgabuzzino per tutta l’estate affinché studi e rifletta sulle conseguenze della sua condotta. 

Corre l’anno 1930, la stanzetta è angusta, c’è solo una finestrella che dà sul cortine ed è forse proprio lì che, per distrarlo, il fratello gli lascia un secchiello con della creta.

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“Non aveva lasciato passare un minuto della sua vita che non fosse stato impiegato a fare della roba” Mazzarò, il protagonista della novella del Verga, e “di una cosa sola gli doleva, che cominciasse a farsi vecchio, e la terra doveva lasciarla là dov’era”.

Nell’indimenticabile racconto “La roba”, l’autore mette in scena la figura dell’accumulatore che trae sicurezza dal possesso dei beni ai quali si aggrappa come estremo tentativo di legarsi, per loro tramite, alla vita.

“Questa è un’ingiustizia di Dio - dice Mazzarò - che dopo essersi logorata la vita ad acquistare della roba, quando arrivate ad averla, che ne vorreste ancora, dovete lasciarla!”

La rabbia del protagonista è la logica conseguenza di chi, non conoscendo l’amore, vive ossessionato sia dall’avere sempre più sia dal tenersi stretto ciò che ha. 

È comprensibile. Siamo corpo, mente e spirito: se diamo da mangiare solo ai primi due, perituri, cercheremo fino allo stremo di non mollarli mentre, se coltiviamo il giardino del cuore, nutriamo lo spirito, sganciamo i pesi che ci ancorano a terra, godiamo di panorami sconfinati e…

«mi accorgo di come, pur limitandosi la mia quotidianità, partecipo molto di più alle vicende del mondo - dice la mia cara amica Paola (81 anni) - Ci sono persone sconosciute che sento vicine e per le quali prego ogni giorno,

come la neonata siriana di Aleppo che nel terremoto dello scorso febbraio è stata trovata viva con il cordone ombelicale ancora attaccato al corpo senza vita della madre.

I miei orizzonti, per un verso rimpiccioliti dal fisico traballante, per un altro si sono ampliati».

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Inviato da il in NUOVI ORIZZONTI

«Uno sparviero così parlò all’usignolo dal variopinto collo mentre, avendolo ghermito con gli artigli, lo stava portando in alto, fra le nubi, e quello, trafitto dagli artigli ricurvi, pietosamente gemeva (…): A che ti lamenti, o infelice?

Ti tiene uno che è più forte; dove ti porto io, tu andrai (…), ti divorerò oppure ti libererò a mio piacere. Stolto è chi vuole combattere contro i più forti: non riporterà alcuna vittoria e, oltre al danno, subirà pure la beffa - racconta Esiodo nel poema Le Opere e i Giorni, VII secolo a.C e poi, rivolgendosi ai giudici -

O Perse, ascolta la giustizia e non alimentare la prepotenza; la prepotenza è dannosa all’uomo debole; nemmeno il grande facilmente la può sopportare, anzi egli stesso rimane oppresso e va incontro a sventure.

Migliore è l’altra strada, verso la giustizia: la giustizia al termine del suo corso vince la prepotenza, e solo soffrendo lo stolto impara».

Mentre uno dei più grandi poeti dell’antichità, raccontandoci il modello negativo di una società basata sull’ingiustizia e sulla legge del più forte, auspica per l’uomo un comportamento diverso da quello delle bestie, noi assistiamo al massacro dei nostri fratelli in nome di pretesti (camuffati da ragioni) costruiti a tavolino dalle fiere umane assetate solo di denaro e di potere. 

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Le foglie cadono lente ad una ad una e ci mostrano la loro e nostra età aurea per darci modo di apprezzarla e di comprenderne la grandezza;

ci fermiamo ad ammirare lo svolazzamento di quelle che paiono farfalle inanimate che si staccano dai rami e danzano o, come vorremmo fare con i segni dell’età, ci affrettiamo a eliminarle immaginando un tappeto di marciume che tutti calpesteranno? 

Mentre la natura ci delizia nel mostrarci la perfezione e la necessità del cambio d’abito, la pubblicità ci propone ostinate creme antirughe che, sulle pelli vellutate degli attori, promettono eterna giovinezza;

vorremmo davvero tornare indietro nel tempo, magari in zona adolescenza, con gli adulti che ci facevano imbestialire, la tristezza plumbea per un inciampo imprevisto o la paura del professore che scorreva i nomi per decidere chi interrogare? 

«Ma eravamo giovani« dice qualcuno.

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Inviato da il in PAROLE BELLE

 

L’avete mai sentito, negli armadi rigonfi, il borbottio dei capi imprigionati da anni che si zittisce quando aprite le ante per scegliere il solito look?

Eppure la natura si sta rinnovando e anche noi siamo chiamati ad ‘autunnarci’, cioè a imitare le fronde che, nel loro mutare, ci mostrano la necessità della metamorfosi (meta- ‘oltre’, morphé ‘forma’). 

La nostra risposta? “Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie (Ungaretti)” ma invece di lasciar andare il vestiario che non ci racconta più niente, cerchiamo di incollare gli abiti secchi ai rami-appendino aggrappandoci a una moltitudine di capi appassiti.

Forse è per questo che mi ha così colpito l’energia travolgente del caschetto biondo di Silvia Bianchini che, a bordo del suo camper-sartoria, arriva da noi e ci aiuta in un lavoro profondo che va oltre l’affrancarci dall’abbigliamento che non ci rappresenta più.

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Inviato da il in NUOVI ORIZZONTI

 

Possibile che un ventenne non trovi niente di interessante in sé da dover indossare l’abito dell’alterato per sentirsi qualcuno o, forse, per scomparire a se stesso?

Da cosa è fatto quel vuoto che il fumo, la droga, l’alcol riempiono?

A parte le cause patologiche o le fratture interiori laceranti che possono portare ad annebbiarsi per sopravvivere alle proprie disgrazie, di chi sono le responsabilità di questo dramma che non solo provoca tragedie stradali e morti innocenti, ma che indebolisce un’intera generazione? 

Avevo 25 anni quando sono stata con un gruppo di studenti nella DDR. Ricordo i nostri coetanei tedeschi, ubriachi già di pomeriggio, insultarci; nella Repubblica (per nulla) Democratica Tedesca l’alcol costava pochissimo, mentre il prezzo di un libro, in quanto bene di lusso, era alto.

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Inviato da il in NUOVI ORIZZONTI

Forse è perché ci si cresce, con un po’ di contrario dentro, che non lo si riconosce più come tale. Si inizia con le mezze bugie usate per addolcire i primi dolori della vita e si finisce con un carnevale quotidiano che, a furia di travestire il falso da vero,

infila l’indicibile verità sotto il tappeto rendendola come il pollo surgelato che il mio cane aveva rubato di notte dal lavandino, nascosto in cantina e poi dimenticato: il fetore di quel che si occulta, prima o poi, emerge sempre. 

Sta di fatto che siamo così abituati alla menzogna camuffata da verità che quando è stata promulgata in Italia la legge sulla privacy, lì per lì non ci siamo accorti della fregatura; come avremmo potuto?

Privacy significa «riservatezza» e indica “quell’insieme di informazioni personali sulle quali desideriamo mantenere il riserbo, escludendone l’accesso ad altri (Treccani)“;

a nostra tutela veniva persino creata la figura del Garante della Privacy e quella che sembrava una buona notizia si è trasformata, oggi, nel personaggio il Grande Fratello del romanzo ‘di Orwell “1984” che, con le telecamere, sorveglia e reprime il libero arbitrio dei cittadini.

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Inviato da il in NUOVI ORIZZONTI

A 5 anni il mio miglior amico era il bambino con cui giocavo, a 8 anni il mio vicino di banco, a 14 il mio cane, a 16 la mia compagna di studi e spensierati fine settimana.

Li chiamavo amici perché erano persone sulle quali potevo contare, ma forse avrei dovuto chiamarli stampelle… sì perché come può un rapporto amicale essere basato su di un bisogno fosse anche di sano divertimento, piacevole compagnia, mutuo aiuto, confidenza reciproca, condivisione di un interesse?

Tutte cose bellissime e sacrosante, ma l’amicizia con la ‘a’ maiuscola è altro.

Gli ultimi puntini sul tema li ho uniti di recente grazie al mio amico Roby che ha condiviso con me un brano di Paolo Spoladore: il pezzo in questione inizia parlando di un pesco i cui fiori, in apparenza, sono collegati ai rami, i rami al tronco e il tronco alle radici.

Guardando più attentamente l’albero, l’autore si chiede: il vero legame è quello delle parti fra di loro o delle parti alla sorgente della vita? 

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Inviato da il in NUOVI ORIZZONTI

Poi quel giorno arriva, per chi nemmeno conosciamo, per chi ci è molto vicino, infine per noi. Non siamo forse qui per questo? Per accettare che la vita continua e che quella che chiamiamo morte è in realtà una rinascita?

Questo è il momento di credere, di fidarsi e di affidarsi. Il Grande Regista, “l’Amor che move il sole e l'altre stelle” ci sussurra: «Non aver paura, figlio mio, non sei solo, apri il tuo cuore, stai solo tornando a casa».

Io, queste parole, non avrei mai voluto scriverle, ma due settimane fa una donna meravigliosa ha spiccato il volo e il sipario è calato sui nostri occhi fisici impedendoci di vederla e lasciandoci sospesi nel vuoto di uno spazio vacuo, in balia di un polverone emozionale che contiene non solo il lascito di colei che è partita, ma anche chi veramente siamo; perché la morte ci denuda, tutti. 

Zia Marisa (Messa) ha seminato fra Brescia e Vigevano i punti cardine del suo esistere:

rendere piacevole la vita a chi ci circonda,
dire sempre la verità,
battersi per la giustizia,
lavorare su di sé per correggersi,
essere accoglienti pacati e pazienti,
affrontare le difficoltà senza scoraggiarsi
e, in primis, aver cura della propria anima.

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Ho sete, ma non è la stessa sete di quando il cielo non gocciola più la sua acqua preziosa, adesso ho sete della mia linfa, quella che mi scorre dentro, quella che mi fa vivere.

I miei canali urlano prosciugati dal bostrico tipografo che, annidato sotto la mia corteccia, si sta nutrendo del mio sangue, goccia dopo goccia. Ho cercato di annegarlo con la resina, il maledetto, ma non ha funzionato. 

Il ladro mi è volato addosso alcune settimane fa ma non mi sono insospettito, ero sano e lui si è sempre occupato dei fratelli in fin di vita aiutando i deboli e i malati a decomporsi e favorendo, con la sua opera, la rigenerazione del bosco.

Dopo la tempesta di Vaia, tuttavia, grazie ai tantissimi alberi abbattuti e al cibo esageratamente abbondante a sua disposizione, mi avevano riferito che fosse diventato un traditore e che non guardasse più in tronco nessuno.

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Inviato da il in DIFFONDERE IL BENE

 

«Ho sparlato di un tale, inventandomi falsità». Il Don è perplesso; la donna seduta davanti a lui sta confessando per l’ennesima volta il peccato di calunnia.

Per aiutarla il sacerdote le ordina di comprare una gallina morta, ma con le penne. «Che penitenza sarebbe? E cosa c’entra la gallina?» irrompe lei.

Don Filippo Neri soggiunge: «Ascoltatemi con attenzione: non si tratta solo di comprare la gallina, ma di portarmela spennandola per le strade di Roma. Poi vi dirò cosa fare».

La penitente ubbidisce, si procura la gallina e la spenna mentre cammina. 

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Inviato da il in DIFFONDERE IL BENE

 

Sei così bella, ragazza mia, con i tuoi lunghi capelli castani magnificamente imbizzarriti e lo sguardo penetrante! Hai 20 anni. Rincorri l’avventura e il mondo delle celebrità mentre ti laurei a pieni voti. Sei sempre corteggiata anche perché, oltre ad avere un bel “telaio”, come dicono i tuoi corteggiatori, sei simpatica.

La valigia con la quale dei venuta al mondo trabocca di talenti.

Hai 27 anni e nel bagaglio hai aggiunto un uomo ricco e famoso. Ti sei sposata su una spiaggia della Polinesia con una collana di fiori colorati e un cappello che ti volteggia intorno come l’ala morbida di un airone immacolato.

Vivi all’estero spostandoti in business class da un continente all’altro, le tue frequentazioni del jet set mondiale ti tengono lontana dalla tua città natale finché non arriva quella telefonata che tutto cambia: la donna che si dimenticava di venirti a prendere a scuola si è gravemente ammalata. 

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«Che vita di m…» ‘schifosa’, «che famiglia di s…» ‘soggetti deplorevoli’. Le parole filtrate dalla censura sono di Superman, un imprenditore che si sente spesso dire quanto sia fortunato a vivere in un luogo meraviglioso, ad avere una bella famiglia e a collezionare successi negli affari. 

Superman, come ogni super eroe, ha una doppia vita: quella fatta dalla bomba di rimproveri e urla che esplode appena varca la soglia di casa, e quella spiritosa della simpatia che riserva ad amici e clienti. 

La verità è che Superman ha la rabbia a fior di pelle ma, se qualcuno glielo fa notare, si altera ancora di più. Risultato? La famiglia, ridotte al minimo le parole, cerca di evitarlo il più possibile, ma Madre Vita no! 

Generosa e paziente, Madre Vita cerca incessantemente di aiutarlo a estrarre la testa dal sacco buio nel quale si è infilato richiamandolo con tocchi leggeri e, via via, sempre più pesanti;

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Inviato da il in PAROLE BELLE

 

Brescia 21 luglio. Ore 14. “Perché continua a fare gesti?” pensa Mara ferma al semaforo di Piazza Arnaldo mentre osserva dallo specchietto retrovisore il tizio sulla golf. Verde. Mara accelera e imbocca la strada per il Castello. La golf la segue.

Primo tornante, l’ansia monta. Secondo tornante, l’uomo sventola dal finestrino uno straccio viola e le fa segno di fermarsi. “Devo arrivare allo Chalet, qualcuno mi aiuterà”.

Giunti sulla sommità della collina, Mara deve fermarsi perché c’è una vettura in manovra. Con il terrore addosso osserva l’uomo scendere dalla golf e avvicinarsi. Le portiere sono chiuse ma lui è al finestrino ancora con quello straccio.

Mara tiene lo sguardo fisso davanti a sé pronta a ripartire per seminarlo. Lui appoggia sul parabrezza il cencio viola con “il mio portafoglio, e quello è il mio foulard!” esclama Mara mentre il tipo è già tornato alla golf e, superandola, è ripartito. 

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Inviato da il in NUOVI ORIZZONTI

Il lunedì ha girato la boa della mezzanotte in via Campagnola 17 a Manerba del Garda passando il testimone al giorno che sconvolgerà l’esistenza di Daniele il quale, ignaro di tutto, sta dormendo. 

Questa storia affonda le radici nell’inverno di 13 anni fa quando Daniele Benedetti faceva il meccanico di automobili e, nel fine settimana, «seguivo le gare sportive di auto, moto e Kart - racconta - e non solo perché mi piacevano. Adoravo fotografarle».

Mentre i motori erano sempre più performanti nel passare da 0 a 100 in pochi secondi, l’appassionato fotografo amava riportarli da 100 a 0 imbrigliando fulmineo rombi e secondi con la sua ‘macchina del tempo’ in grado di captare il movimento zero. 

Poi, 5 anni fa, Daniele ha perso il lavoro e anche la ragazza. Primo tonfo. «Ero a terra, ma avevo il sogno di aprire un negozio e mi sono lanciato». 

La bottega di Daniele è diventata in questi anni un punto di riferimento per i fotoclub locali e per i fruitori dei suoi servizi perché c‘è chi usa lo zoom per inquadrare, sparare e uccidere, e chi lo usa con il cuore per donare eternità a un istante. 

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Ne ho incontrati due, questo mese, di uomini ‘fantini’. Situazioni diverse e anni uno il doppio dell’altro, ma stessa fermezza interiore.

Il primo è Virgi, un magnifico baffo che la premurosa consorte riempie di attenzioni e che, alla boa dei 50 anni di matrimonio, non manca di stimolarlo e, altresì, di riprenderlo.

«Non devi parcheggiare qui ma all’ombra» esclama lei in un assolato lunedì di giugno giustamente preoccupata per le pietanze deteriorabili che lasceranno in auto e, mentre lui piazza la vettura in pieno sole, lei abbassa la voce e commenta «Non mi ascolta mai».

Scendono dall’auto e si allontanano. Virgi è immerso nei suoi pensieri e si accorge della frase che la moglie gli sta ancora ripetendo, dopo qualche metro.

Solerte torna alla macchina, la sposta oltre la curva sotto l’ombrello profumato dei tigli, raggiunge la dolce metà che, con alcune amiche, lo sta aspettando davanti a un imponente castello medioevale e, sorridendo, racconta loro la storia di quel maniero fermo nel tempo.

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Inviato da il in VIVERE CON PASSIONE

È il cappellino rosa a forma di barchetta ingentilita che balza all’occhio avvicinandosi al primo tavolo del ristorante a bordo lago. I commensali, distribuiti attorno alla circonferenza immacolata della tovaglia di lino, stanno attingendo a generosi vassoi di antipasti.

Ada si sporge all’indietro e, appoggiandosi alle spalle del marito, chiama sua cugina Giulia che è seduta un posto oltre lei. «Finalmente ci vediamo - esclama - ciao». Giulia ricambia il saluto. «Ti trovo proprio bene - frizza Ada - sei ingrassata».

«Tante grazie!» ribatte scocciata Giulia che, senza troppo dare nell’occhio, si alza e raggiunge il tavolo a fianco dove zia Carla sta borbottando a zia Bruna di quel cappellino rosa che proprio non si può vedere, «tipico gusto americano e poi ha sbagliato il colore del rossetto che tira all’arancione; le americane non sanno cosa sia il buon gusto e pretendono di insegnarlo a noialtre».

Giulia ha sentito abbastanza e, sfiorando le velette delle zie, si sposta all’altro tavolo dove il cugino di Roma sta parlando del parente seduto vicino al banco bar che «quarant’anni fa ha venduto i titoli per comprare casa alla badante fregandosene dei figli». Giulia procede oltre dirigendosi verso i nonni. 

Nonna Gilda ha appena fatto scorta nel piatto di gamberetti e, dopo averne messo in bocca uno e aver esclamato quanto disgustoso sia, li sta offrendo alla consuocera che risponde: «Grazie tante, tieniteli pure».

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Sono attratta dalla donna seduta sulla panchina del lungolago. L’espressione del suo viso è serafica. Ha una mano in tasca e osserva un gelsomino fiorito intrecciato ad un tralcio di rose gialle.

Prendo posto sull’altro lato della panchina. Scorrono lenti alcuni minuti, alla fine volgo lo sguardo verso di lei sperando non se ne accorga. Se ne accorge e subito mi saluta.

«Ha sentito che profumo?» dice. 

Certo che l’ho sentito, sto respirando anch’io quell’effluvio delizioso, ma è la sua serenità che più di ogni altra cosa respiro e, racconta di qui, racconta di là, alla fine confesso:

«Lei emana una sconfinata pace. È per questo che mi sono avvicinata. Sulle prime non capivo cosa fosse ma poi qui, seduta in silenzio vicino a lei, ho colto un benessere profondo e mi sono chiesta: c’è una strada che porta a questa pace o è una condizione personale sua da sempre?» 

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Australia. «Sono un emigrato greco di 27 anni con moglie e figlie piccole. Sono stato assunto in Qantas come impiegato per mansioni di poco conto e di sera lavoro come cameriere. Non ho potuto fare grandi studi, ma mi considero fortunato per non essermi dovuto liberare di troppa zavorra intellettuale.

Di notte divoro libri di diritto, contabilità e statistica (mi sono iscritto all’università), ma sento altresì il bisogno di nutrirmi della voce dell’età classica, quella di generazioni di saggi e giganti del pensiero che forgiarono le idee più audaci che, attraverso l’oceano del tempo, sono arrivate fino a noi. T

uttavia, nonostante le centinaia di pagine lette, comprendo come queste mi abbiano sì descritto una canna da pesca, ma non insegnato a pescare».

1973. Prima lezione di pesca: riunione generale dei dipendenti Qantas. «Il direttore, che vedo come un astro lontano e irraggiungibile, cerca un volontario che, extra orario lavoro, si dedichi a informatizzare la compagnia.

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